A metà degli anni ’80 del XX secolo, ero un giovane allegro e appassionato di minerali. Andavo spesso a cercarli in giro per le campagne del Lazio e della Toscana. Nella primavera del 1986 mi capitò di trovarmi nella zona di un piccolo rilievo il cui nome è Monte Cavalluccio, nella zona nord della caldera di Sacrofano.
Era una mattinata chiara e faceva fresco, nei giorni precedenti era piovuto. Una volta parcheggiata l’auto in un punto sicuro a bordo strada, superai il filo spinato che impediva alle bestie al pascolo di scendere sull’asfalto e, salii sulla sommità del colle e mi guardai attorno. Numerose mucche erano sparse nei prati e davanti a me un lieve pendio scendeva verso la caldera. Mi avviai in quella direzione e ricordo che mi piaceva fermarmi spesso per osservare i colori chiari della primavera e ascoltare i suoni della campagna. L’erba era umida. Qualcosa di indefinito mi attraeva verso un punto particolare del fondo valle.
Ci volle poco per raggiungere il punto che mi interessava. C’erano in terra, mezzi sepolti nel terreno bagnato, diversi sassi che tecnicamente vengono chiamati proietti vulcanici. Erano i resti dell’attività vulcanica della zona, probabilmente databili fra i 500.000 e i 400.000 anni fa. A quel tempo la zona in cui oggi si trova Sacrofano con la sua caldera, era oggetto di un’attività vulcanica esplosiva molto intensa. La violenza con cui la lava veniva sparata verso il cielo e gli improvvisi crolli della camera magmatica, provocavano il lancio di frammenti di roccia appartenenti alle sue pareti. I frammenti venivano non solo scagliati in alto, ma anche parzialmente alterati dall’estremo calore e quando ricadevano al suolo venivano poi coperti di ceneri e lapilli.
Oggi quelle ceneri e quei lapilli sono diventati tufo e i frammenti di roccia possono ancora essere trovati immersi nella massa tufacea oppure, quando l’erosione della pietra li ha liberati, nel fondovalle.
Quando andavo a cercare minerali, per me era sempre un’emozione vedere quel tufo e quei proietti. Era come rivivere dentro di me le antiche esplosioni e il liberarsi di colossali nubi di ceneri e gas che salivano verso il cielo; come il poter vedere i frammenti di roccia incandescente che, assieme a gocce liquefatte venivano sparati in alto e andavano a ricadere tutto attorno all’area dell’eruzione. Anche in quella mattina di primavera ero felice e un po’ emozionato mentre, raggiunto il punto che mi interessava, mi accucciavo a osservare i sassi nella terra.
I proietti che avevo davanti, come spesso accade, non erano affatto belli, colorati e lucenti. Al contrario, apparivano come comuni sassacci infangati e insignificanti. Ci vuole un occhio un po’ allenato per riconoscere, sotto lo sporco e la terra, le tracce di qualcosa di interessante. Per poter vedere bisogna volerlo fare, studiare e soprattutto non andare di fretta. Bisogna fare uno sforzo ed evitare di essere superficiali. Chi non ha pazienza e buona volontà in genere riesce a riconoscere solo il livello delle apparenze.
Quel giorno sotto i miei occhi c’era un sasso infangato e tondeggiante di circa 10 cm di diametro. Lo osservai attentamente. Era compatto, pesante, con pochissime cavità interne e una grana poco percepibile, anche per via del fango.. Decisi di spenderci qualche istante in più e spaccarlo perché, mentre la superficie esterna appariva poco decifrabile per via del fango, le superfici interne, ottenute con la rottura, sarebbero state pulite. Così, mentre tenevo il proietto nella mano destra, lo colpii un paio di volte, violentemente, con il martello da geologo che impugnavo nella sinistra. Il proietto si ruppe in 3 frammenti.
All’interno era compatto, formato da abbondante sanidino incolore, macchiato di cristalli neri e, soprattutto, abbondantemente chiazzato di un azzurro trasparente e delicato. Questo ne faceva un proietto più interessante di altri. Sapevo bene che quell’azzurro erano cristalli di un minerale chiamato hauyna, ma di proietti così ricchi non me ne erano mai capitati. Lo osservai meglio, usando la lente. In un paio di punti vi erano delle macchioline gialle puntiformi, grandi come capocchie di spillo.
Il giallo, trasparente sopra altri cristalli trasparenti, poteva sembrare una semplice sporcatura, una patina, un segno dell’ossidazione di qualche minerale ferroso. Ma qualcosa mi diceva che non dovevo essere troppo frettoloso. Qualcosa mi attraeva. Era un proietto troppo bello e troppo azzurro per buttarlo via. Non volevo disfarmene frettolosamente. Lo guardai ancora con attenzione, cercando i riflessi che mi facessero capire dove finiva il giallo e dove iniziava ciò che c’era sotto. Era un giallo troppo vivo per essere un semplice ossido di ferro. Tuttavia. pensavo, quella zona era battuta continuamente da branchi di appassionati come me che cercavano e osservavano e raccoglievano senza sosta tutto ciò che poteva apparire anche lontanamente interessante … possibile che, con tutta quella gente, io fossi il primo ad aver notato un giallo così evidente, per quanto piccolissimo? Possibile che fosse qualcosa di interessante e nessuno l’avesse notato prima?
Ricordo che con la mente cercai di immaginare tutte le alternative. Cosa poteva esserci in giro di così giallo? In quel tipo di roccia? Non mi veniva in mente nulla.
Dovete sapere che un buon appassionato di minerali, quando si reca in una zona a cercare, ha sempre in mente sin dall’inizio che cosa potrebbe capitargli di trovare. Gli appassionati si documentano in anticipo. Studiano il tipo di rocce, la geologia dei luoghi, gli elenchi di minerali che sono già stati trovati nella zona, ecc.. Quella mattina il mio schedario mentale di possibili minerali gialli era vuoto. C’era solo l’ossido di ferro. Fu questo che mi spinse a guardare e riguardare, rigirando il proietto fra le mani in tutti i modi possibili. Alla fine decisi che doveva per forza essere qualcosa di interessante. Non sapevo cosa, ma doveva essere interessante. E, forse, anche molto.
Quando tornai a casa non persi tempo: lavai il proietto, lo asciugai e lo ruppi in frammenti più piccoli cercando altri puntini gialli. Ne trovai diversi e li esaminai al microscopio (un buon appassionato di minerali possiede sempre un microscopio)! Avevo avuto ragione: non era ossido di ferro. Erano cristallini gialli, piccoli, con la forma di sottili lamelle esagonali. Spezzati perché si erano rotti quando avevo rotto il proietto. Non solo non erano mai stati trovati nella località da cui provenivano, ma non assomigliavano a nessun minerale da me conosciuto e che potesse trovarsi in quel tipo di proietti. Decisi di portare il tutto presso l’Istituto di Mineralogia dell’Università La Sapienza di Roma. Lì conoscevo alcuni professori e ricercatori. Mostrai i campioni a un ricercatore conosciuto e vidi immediatamente nei suoi occhi accendersi l’interesse. Da quel momento ci vollero quasi 4 anni per completare le ricerche, inviare i risultati all’ente internazionale che si occupa di valutare i nuovi minerali e ottenere una risposta.
Avevo avuto ragione: era un minerale sconosciuto. Mai nessuno lo aveva descritto prima in nessun luogo del mondo. Gli fu messo nome peprossiite-(Ce). “Peprossiite” in onore di un mineralogista scomparso (tale Peppe Rossi) e “Ce” per via del contenuto di cerio.
la peprossiite-(Ce) in cristalloterapia
La peprossiite non può essere utilizzata, per più ragioni, in cristalloterapia. Si tratta di un minerale talmente raro che sarebbe difficile procurarsela e, anche volendola acquistare, esiste solo in campioni microscopici del tutto inadatti per gli scopi cristalloterapici.
Inoltre, fattore non secondario, trattandosi di un minerale estremamente raro, nessuno ha mai avuto la possibilità di usarla concretamente e verificarne gli effetti. Neppure io che, essendone lo scopritore, ne posseggo diversi campioni.
Se mai io avessi voluto, ovviamente, sarei stato una delle poche persone al mondo a poter fare degli esperimenti con la peprossiite, ma sarebbe stato estremamente difficile perché essa si presenta in piccolissime quantità in mezzo ad altri minerali in quantità largamente preponderante (soprattutto sanidino, hauyna, ma anche zircone, fluorite, nefelina e altro), quindi qualsiasi effetto sarebbe stato sovrapposto a quelli degli altri minerali e indistinguibile da essi. Inoltre fare esperimenti su un minerale che quasi nessuno al mondo potrà mai utilizzare sarebbe stata una pura perdita di tempo.
Personalmente ho provato più volte, essendo molto esperto e particolarmente sensibile, ad avvertire su di me gli effetti della peprossiite. Lo ho fatto più che altro per gioco, pur sapendo che sarebbe stato impossibile per chiunque giungere a conclusioni affidabili. Ho avuto delle sensazioni abbastanza confuse per via dell’influenza degli altri minerali e … non vale la pena di riportarle qui.
altri dati
peprossiite-(Ce) | |
famiglia/affinità | – |
chimica | borati |
varietà di | – |
tipo di materiale | minerale |
durezza | 2 |
colori | giallino o giallo arancio |
classe di potere | ? |
livello richiesto | ? |
costanza | ? |
flusso | ? |
grado dinamico | ? |
elementi | ? |
zodiaco | ? |
pianeti | ? |